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Titolo: Heavy weather
Autore: Weather Report (Joe Zawinul -piano, keys-, Alex Acuna -drums-, Jaco
Pastorius -bass-, Wayne Shorter -soprano/tenor saxophone-, Manolo Badrena
-percussions-)
Genere: Jazz/Fusion
Anno:
1977
Etichetta discografica/distributrore: Columbia/Sony Music Entertainment
Inc./Legacy |
Vi siete mai
chiesti come un solo album possa entrare nel mito, anzi… nella leggenda? In
questa recensione potrete, parzialmente, trovare una risposta. Prima di passare
alla descrizione dell’album, però, bisogna compiere un doveroso passo indietro.
Miami, Gusman Theatre, 1975. Siamo a un angolo
di strada, nel retro del teatro. Un signore magro, sulla quarantina, baffo
folto e capelli non molto lunghi si fuma una sigaretta in santa pace appena
terminato il consueto soundcheck
pre-concerto. Assorto nei suoi pensieri, a un certo punto vede avvicinarsi un
ragazzo poco più che ventenne, capelli lunghi e tenuta da pallacanestro. Vestito da matto affermerà in seguito.
La loro conversazione (come riportato dal giornalista della nota rivista
musicale americana Down Beat, Bill
Milkowski, che scrisse la biografia di questo ragazzo) si svolse, approssimativamente, in questo modo:
-
Tu sei Joe
Zawinul, giusto? Seguo la tua musica dai tempi di Cannonball Adderley
e mi
piace molto.
-
Che cosa
vuoi?
-
Mi chiamo
John Francis Pastorius III e sono il più grande bassista del mondo.
-
Togliti
dai piedi, stronzo!
Ad un anno
di distanza da quello strampalato incontro, Jaco Pastorius (questo il nome di
quel ragazzo come lo conosciamo oggi) entrò di diritto nella scena fusion partecipando a due brani (di cui
uno, Barbary Coast, di sua
composizione e l’altro, Cannonball,
dedica di Joe Zawinul al suo ex band leader Julian “Cannonball” Adderley)
dell’album Black market (la title track dell’album, eseguita come le
altre da Alfonso Johnson, divenne ben presto famosa in Italia perché sigla di
un celebre radio giornale). La band di cui stiamo parlando è, senza dubbio,
quella dei Weather Report la formazione jazz/fusion
più famosa al mondo.
L’anno
successivo (e qui veniamo alla nostra recensione), Pastorius -da molti,
musicisti e non, definito Dio in quattro
corde, in quanto rivoluzionò il suono del basso elettrico elevandolo a
strumento solista- entrò di diritto a far parte della band con cui incise altri
sei album e di cui due live (8:30 ed Havana jam I&II). Infine, nel 1977, l’album Heavy Weather lo trasformerà nella vera
e propria leggenda che gli appassionati ammirano da decenni. Di seguito,
troverete la descrizione dei brani che compongono questo progetto.
- Birdland:
il brano d’apertura, con quelle sette note eseguite a tastiera e ripetute tre
volte, è una chiara dedica al locale newyorkese, aperto nella 52esima strada
nel 1949, in omaggio al genio del sassofonista be-bop Charlie “Bird” Parker. Dieci anni più tardi, nel nostro
Paese, una nota pubblicità di un amaro consacrò il mito della Milano da bere avendo, come sottofondo,
questo brano composto ed eseguito dal principale produttore dell’album, Joe
Zawinul. Le riproposizioni più celebri di questo brano sono, certamente, quella
dei Manhattan Transfer (quartetto jazz vocale che ne mise, per la prima volta,
le parole) e quella del trombettista Maynard Ferguson. Una piccola curiosità:
all’inizio del brano, sembra una chitarra quella che esegue i primi riff. Ascoltate attentamente: è
Pastorius che, al basso, compie una delle sue magie…
- A remark
you made: il brano seguente, composto dal sassofonista Wayne Shorter, è un
lento al quale, nel 2000 all’interno del suo album Tomorrow today, il cantante americano Al Jarreau mise le parole
trasformandola in Something that you said
sostituendo con la voce sia il sassofono di Shorter che il basso di Pastorius,
strumenti che la fanno da padrone per quasi tutto il brano.
- Teen town:
facendo ricerche ed intervistando numerosi bassisti, è risultato che questo
brano è stato uno dei più riproposti nelle jam
session jazz del nostro Paese. Un inseguimento, una corsa contro il tempo
dove tastiere e basso suonano all’unisono accompagnati da un ritmo di batteria
sempre stabile (scopriremo, dal liberetto del cd, che non è, in questo caso,
Acuna a suonare, ma Pastorius in una sovra incisione) contorniato da piccole
pennellate di sassofono e dalle percussioni di Badrena a coronare il tutto. Nel
1993, il bassista elettrico Marcus Miller nel suo album The Sun don’t lie, propone una versione di questo brano molto funkeggiante sfoggiando la sua
incredibile tecnica slap.
- Harlequin:
personalmente, imparai a comprendere il significato del genere jazz/fusion proprio grazie a questo
brano. Qui distinguiamo, chiaramente, l’utilizzo delle tastiere multi effetto
di Zawinul che passa da un effetto pungente a quello più classico del
pianoforte miscelandoli sapientemente. Il tappeto è dato da una soffice
batteria di Acuna e dal basso di Pastorius che gioca senza esibirsi in volteggi
esagerati. Come di consueto, pennellate di Shorter a coronamento del tutto.
- Rumba mamà
(live): una registrazione dal vivo
(non sono riuscito, purtroppo, a trovare informazioni riguardo l’origine di
questa performance) di questo gioco tra
Acuna e Badrena. Brano di breve durata ma… molto intenso!
- Palladium:
brano composto da Shorter, probabilmente dedicato all’omonima ex sala concerti
newyorkese, poi divenuto nightclub.
Partenza folgorante con tutti gli strumenti all’unisono poi, mano a mano,
l’entrata di tutti gli altri. In questo caso, Shorter è presente in misura
sempre maggiore e, tra le percussioni di Badrena e il magico tappeto di Acuna
particolarmente ispirato, troviamo le pennellate di Zawinul a cedere il passo
ad un Pastorius lucido e vispo che danza sulle note saltellando come sui
tappeti elastici di un luna park. Non mi credete? Ascoltare per credere!
- The
juggler: L’imbroglione o, se
preferite -dato che, nello stesso album, troviamo un brano dedicato ad
Arlecchino, il giocoliere. Come la
prima traccia dell’album, anche questa è stata composta da Joe Zawinul: un
tripudio di tastiere, una batteria che, a tratti, ricorda il ritmo di una
marcetta. Un brano che, più in generale, ricorda Harlequin. Che i due brani siano, in qualche modo, legati?
- Havona:
Ultima, bellissima, perla dell’album. Composta da Pastorius vede presentarsi lo
stesso, identico, schema di Teen town:
tappeto di batteria (questa volta di Acuna), tastiera effettata ed un
incredibile performance bassistica. Da
far accapponare la pelle. Personalmente, la traccia che preferisco dell’album.
Spero
che questa lunga ma semplice recensione vi abbia soddisfatto. Un’ultima, utile,
informazione: nel 2003 è stato fatto omaggio alla musica di Jaco Pastorius
(prematuramente scomparso nel 1987) con un album intitolato Jaco Pastorius Big Band - Word of mouth
revisited dove, accanto a musicisti storici che hanno accompagnato Jaco
nella sua vita travagliata -un veloce sguardo alla pagina italiana di Wikipedia non guasterebbe a voi che
leggete-, troviamo bassisti che lo hanno venerato e che ne hanno riproposto la
sua musica in numerosi live durante
la loro carriera. Tratte dall’album appena recensito (la cui copertina, progettata da Lou Beach, è un chiaro omaggio a Pastorius, con i suoi capelli lunghi nascosti da un Borsalino fedora che sovrastano la città di New York con -sullo sfondo- tutte le condizioni atmosferiche possibili) troverete le versioni di Teen town e Havona, rispettivamente eseguite da Victor LaMonte Wooten e Jimmy
Haslip.